Ho ucciso Enrico Mattei
Un gioco di potere durato trent’anni
presentazione del libro di e con Federico Mosso
edito da Gog
con Luca Cassiani
incontro online disponibile qui, su circololettori.it, Facebook, Youtube
L’agente Joe, alias Oreste Lucciani, alias Umberto Malimberi (a seconda dei casi) è un’ex spia infedele del regime fascista passata dalla parte degli americani per convenienza, all’alba della Liberazione. Ora lavora per la CIA, che gli affida il compito di monitorare le attività di un giovane e ancora sconosciuto Enrico Mattei, il dirigente dell’AGIP a cui viene chiesto di liquidare l’azienda e allineare la politica energetica dell’Italia a quella statunitense. Spregiudicato, piratesco, astuto: Mattei non si rassegna al suo compito e insegue il sogno dell’indipendenza petrolifera, fonda l’ENI e ribalta tutti gli equilibri della pax americana, mette in discussione l’egemonia delle Sette Sorelle, scavalca politici e pesta i piedi ai poteri forti, tenta l’impresa di trasformare l’Italia in una potenza internazionale. Quest’epopea, che si conclude tragicamente a Bascapè, la notte del 27 ottobre 1962, ci viene raccontata in prima persona dall’insolito punto di vista, fittizio ma non per questo inverosimile, del suo assassino, l’immaginario agente Joe, una pedina nelle mani di interessi economici e politici che non si avvolgono solo intorno a Mattei, ma si prolungano fino al giornalista De Mauro, che sul suo omicidio stava indagando poco prima di svanire nel nulla, e poi a Pier Paolo Pasolini, che al caso ENI dedicava la sua opera incompiuta: Petrolio. Sarà proprio l’agente Joe, per scongiurare la fuga di notizie, a sottrarre il capitolo mancante del manoscritto dalla casa del poeta, un capitolo dal titolo emblematico: Lampi sull’Eni. In questo romanzo di ambientazione storica, in cui realtà e finzione si sovrappongono, Mosso ci accompagna dentro un gioco di potere durato trent’anni, tutt’ora irrisolto, e ci consegna il ritratto di un’Italia nel pieno del boom economico ma in preda a un sogno smisurato, e che coltiva al suo interno, come scrive Pasolini, «l’ansia nervosa – che rendeva brutti e pallidi – di consumare la propria fetta di torta».
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